È la prima famiglia Neandertal mai scoperta. E sarebbe vissuta circa 54.000 anni fa tra le grotte di Chagyrskaya e Okladnikov. La prova arriva dal DNA antico recuperato da 17 frammenti ossei, appartenenti a 13 individui di Neandertal: sette uomini e sei donne, di cui otto adulti e cinque tra bambini e adolescenti. Tra di loro ci sono un papà Neandertal e la sua figlia adolescente, e un'altra coppia di parenti stretti: forse una zia o una nonna e suo nipote, o due cugini di età molto diverse. La scoperta, appena pubblicata su Nature, porta la firma del neo-premio Nobel per la medicina Svante Pääbo. Ne parliamo con Sahra Talamo, anche lei tra gli autori dell'articolo, docente di chimica dell'ambiente all'Università di Bologna e direttrice del laboratorio di radiocarbonio BRAVHO al Dipartimento di Chimica "Giacomo Ciamician" dell'Università di Bologna. Tra le scoperte più importanti della carriera di Pääbo c'è senz'altro l'analisi di un gene legato al linguaggio dei nostri cugini estinti: con Maria Giovanna Belcastro, docente di antropologia all'università di Bologna e responsabile del Museo di Antropologia e del Museo dell'Evoluzione, ricostruiamo quel che sappiamo, ad oggi, della comunicazione verbale tra i Neandertal. Al microfono Roberta Fulci
Ha colto tutti di sorpresa, perché nessuno se lo aspettava. Ma lo studioso che ha ricevuto ieri il Nobel per la Medicina e la Fisiologia se lo merita tutto, perché con lui la paleogenetica umana ha compiuto davvero passi da gigante. Svante Pääbo è stato tra i protagonisti dei primi passi di questa disciplina, cominciando a sequenziare geni da antiche mummie egizie e da Otzi, l'Uomo del Similaun. Eravamo ai primi anni Novanta. Ma è nel nuovo millennio che Pääbo fa compiere un salto enorme a questo campo di ricerca, con la ricostruzione dell'intero patrimonio genetico dell'uomo di Neandertal, delle sue relazioni con i Sapiens e con l'individuazione di una nuova specie umana, l'Homo di Denisova, sulla base del materiale genetico estratto dai pochissimi resti trovati in una grotta in Siberia. Conosciamo meglio il profilo di questo scienziato con Silvana Condemi, paleoantropologa e bio-archeologa all'università di Marsiglia. In chiusura, con il giornalista scientifico Matteo Serra, autore del saggio "Dove va la fisica?" (Codice edizioni, 2022), commentiamo il Nobel per la Fisica 2022 che verrà annunciato proprio durante la diretta. Al microfono Marco Motta.
"Il mio ciondolo si è rotto! Lo lascio qui" potrebbe aver pensato qualcuno con disappunto, nella penombra della grotta polacca di Stajnia, 41.500 anni fa. È così che, nel 2010, è stato rinvenuto il più antico gioiello decorato mai trovato in Eurasia: un ovale d'avorio ricavato dalle zanne di mammut, che misura meno di 5 cm per 2 ed è abbellito da 50 puntini che formano una specie di ellisse. Sepolto insieme a ossa animali e strumenti in pietra, nella grotta frequentata sia da neanderthal che da sapiens, questo pendente ci dà indicazioni preziose sulla creatività e le abilità tecniche dei nostri antenati. Non solo: la sua datazione sposta indietro di duemila anni lo sviluppo di questo tipo di decorazione da parte dei primi sapiens arrivati in Europa. Ne parliamo con Sahra Talamo, coordinatrice dello studio e direttrice del laboratorio di radiocarbonio BRAVHO dell'Università di Bologna, dov'è docente di chimica dell'ambiente e dei beni culturali. Al microfono Marco Motta
Ben nove scheletri di Homo neanderthalensis, il più antico dei quali risale a centomila anni fa. Un ricchissimo bottino premia gli scavi iniziati nel 2019 all'interno della grotta Guattari, a San Felice Circeo. Il sito, già noto per il ritrovamento di un cranio di Neanderthal nel 1939, si conferma un'area di grandissimo interesse paleoantropologico, come ci racconta Francesco Di Mario, direttore degli scavi e funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia per le province di Frosinone e Latina. Negli ultimi tempi stiamo scoprendo un Neanderthal "inaspettato" grazie a nuovi studi sulla dieta, la cultura e le abitudini dei nostri cugini estinti. Ne parliamo con Maria Giovanna Belcastro, antropologa all'università di Bologna. Al microfono Francesca Buoninconti.
Come gli studi sul DNA antico stanno aiutando a ricostruire migrazioni e scambi culturali, per disegnare la geografia delle malattie e i modelli di organizzazione sociale dei nostri lontani antenati.
Il clima. No, un'epidemia. O magari la competizione con noi sapiens. L'ultima ipotesi sulle ragioni della scomparsa dei Neandertal chiama in causa il campo magnetico terrestre.
Parte tre anni fa, da una grotta a pochi chilometri da Johannesburg, una delle avventure scientifiche più appassionanti degli ultimi anni: la scoperta di Homo naledi
Si chiama Homo naledi, in lingua Sotho "stella". Scoperto da un team di 50 paleoantropologi in Sudafrica, va ad arricchire il nostro album di famiglia.