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Jack Folla, un dj nel braccio della morte -

Dal lunedì al venerdì alle 15.05

Scritto e diretto da Diego Cugia. Musiche originali di Luciano Francisci. Torna dopo vent'anni il leggendario Jack Folla, un dj italo-americano rinchiuso nel braccio della morte del carcere di Terre Haute, nell'Indiana (Usa) in attesa dell'iniezione letale. Questo dj dal destino segnato gode di un grande privilegio: dalla sua cella sottoterra, tra porte d'acciaio e mura di cemento armato, dice tutto quello che pensa, tra una canzone e l'altra. Parole crude, poco tempo e niente da perdere. I suoi ascoltatori lo venerano, il potere lo detesta.

Lista episodi

26 Lug 2022

Il polpettomane

Questa è la storia più idiota che vi abbia mai raccontato ma ho due scusanti. La prima, che il protagonista del fatterello, Don Gorske, è una guardia carceraria che conosco. Una mosca bianca, perché non mi ha mai picchiato. La seconda, che l'autorevole Washington Post gli ha dedicato un gran pezzo, il che la dice lunga sul babbeismo universale, però se il giornale dello scandalo Watergate si dilunga su Don Gorske e sul suo ineguagliabile primato, posso farlo pure io che sono vegetariano e McDonald's non mi è mai piaciuto, né il Big Mac né tutto il corollario. Ma sono un'eccezione e i bambini mi stanno sputando, lo so, pazienza. Non avete capito una mazza? Avete ragione. Ora vi spiego. Un giorno Don disse a suo papà: da grande voglio fare l'astronauta? No. Il playboy? No. Salvare le foche monache dall'estinzione? No, a dieci anni annunciò al padre: "Pa' io voglio andare a mangiare da McDonald's ogni giorno della mia vita". Suo padre disse che era una cosa stupida ma che i bambini hanno diritto di dirle. E invece Don, che ha 68 anni, l'ha fatto per davvero. A oggi, ha mangiato 32.943 Big Mac, quasi uno al giorno, ma talvolta due: pranzo e cena. Il Guinness dei Primati lo aveva già riconosciuto come massimo divoratore mondiale di Big Mac nel 1999, quando era a quota 15.499. Poi il Guinness ha aggiornato il conteggio quest'anno, che Don ha raddoppiato il suo primato. Gli avrei dato il Guinness per il suo record di sopravvivenza al fast food, visto che ancora non è morto stecchito. Lui non si sottopone a visite mediche per principio (eccola là!) però ha fatto le analisi del sangue e dice che i suoi livelli di colesterolo non sono spaventevoli e la pressione sanguigna è nella norma.
23 min
25 Lug 2022

Confessioni di un fumatore.

Hola albatros di tutte le generazioni con le ali profumate di vento o con le piume ingiallite dalla nicotina. In Italia, l'anno scorso, ci sono stati 800mila fumatori in più, dicono sia stato un danno collaterale del Covid. Barricati in casa con le mani in mano, fra un dito e l'altro ci hanno infilato la prima sigaretta. Oggi il 25% degli italiani, uno su quattro, fuma. Tredici anni fa, quando sono finito in questa cella, fumavo quattro pacchetti di sigarette al giorno, all'incirca una ogni quarto d'ora, avevo cominciato da bambino, a 12 anni. All'epoca i danni terrificanti del fumo non erano sbandierati come oggi, la prima sigaretta simboleggiava un rito d'iniziazione al mondo proibito degli adulti, sapeva di peccato e voluttà, anche se la prima cicca fa veramente schifo, il che vuol dire che fanno schifo e basta. Invece la nicotina ci mette lo zampino, perché è una droga e a ogni tiro diventi progressivamente dipendente, il suo schiavo a pagamento (paghi tu la padrona, per farti ammazzare). Immaginate di vedere una merda di cane per strada, e invece di evitarla disgustati, vi sembra un fiordaliso o la Venere del Botticelli; così è con il fumo. Mia madre, quando mi dava un bacio, diceva che le sembrava di abbracciare un posacenere; i miei amici che non fumavano, quando entravano nella mia cameretta, dicevano che era impossibile resistere senza le finestre spalancate, che vivevo nella nebbia fitta e nella puzza stagnante. Queste proteste mi facevano infuriare, perché non sentivo alcun cattivo odore e anche se i miei capelli e i miei polpastrelli diventavano gialli e i denti neri, non sapevo immaginarmi senza una sigaretta fra le dita. Certe volte, nel posacenere, mi accorgevo che ne avevo accese tre contemporaneamente, perché come tutte le droghe la nicotina non ti basta mai e temi sempre di rimanere a corto. Chi fuma lo sa.
22 min
17 Giu 2022

Segreto

Oggi Jack vuole rivelarvi un segreto…e il segreto… (parola che detesto perché il segreto fra te e me esclude sempre un terzo e lo discrimina) …Il segreto, dicevo, è che…quando qualcuno, appunto, vi confida un segreto (e vi prega di non rivelarlo a nessun altro) …altro che a nessun altro, voi lo diffondete a più pettegoli possibile, come se foste Jack alla radio! Ma perché fate così? Niente sensi di colpa (quelli lì son "cuoricidi", suicidi del cuore, per carità) e poi è successo anche a me, mannaggia. Uno ti dice una cosa. "Mi raccomando eh, Jack? Tienitela per te". -Ma ci mancherebbe altro, Mario! - E stai già digitando il numero di un terzo per spifferargli il suo segreto caldo-caldo. Quando c'era qualcuno che mi diceva "acqua in bocca per carità" mi è sempre venuto da sorridere per l'ingenuità. Quello del "mi raccomando è un segreto" è un invito supersexy a trasgredire. Come fai a non saperlo? Sei tonto? Oppure vuoi proprio farlo sapere a tutti? Sennò non si spiega. I segreti sono una scatola di cioccolatini dimenticata aperta. Quando torni, non ne resta uno. Qui negli Stati Uniti, in Arizona, gli psicologi dell'Università hanno condotto una ricerca sul tema dei segreti: dall'essere infelici sul lavoro, alle infedeltà sessuali di Tizio o Caia. Risultato? Il 30% delle volte spifferiamo tutto. Pensavo peggio. Ma di chi è la colpa? Secondo i ricercatori, la colpa è del protagonista del segreto che dovremmo nascondere. Se si tratta di un egoista o di uno che, in quanto a moralità, sta messo maluccio, allora tradiamo più facilmente il suo segreto. Sì, certo, perché così hai la scusa che il "colpevole" sia lui e la vita che fa. Già, ma come la mettiamo con i nostri segreti "inconfessabili"?
23 min
12 Mag 2022

Il mio contrario

Questa notte, fratelli, ho incontrato il mio contrario. Io sono una voce senza corpo, lui un corpo senza voce. La mia cella è senza finestre e sottoterra, ma di colpo era illuminata dal chiaro di luna, e la sua faccia dipinta di bianco mi sorrideva, sotto l'ombra di un esagerato cappello a cilindro. "Chi sei?" Gli domando. Lui gesticola. Mima se stesso. Si mette a camminare contro vento nell'aria immobile, il Moon Walk di Michael Jackson in direzione opposta. Il re del Pop sfuggiva alla forza di gravità camminando all'indietro sulla luna, lui cammina in avanti, sfidando un vento insistente ma inesistente. E allora lo riconosco, perché il suo combattere una invisibile forza della natura è la sua foto del passaporto, con tanto di firma sotto. Marcel Marceau, il più grande di tutti gli attori senza voce. Si conquista le prime ali guardando i film di Charlie Chaplin, i primi voli d'albatros -mi racconta- sono le imitazioni di Charlot, i primi spettacoli improvvisati con cui fa ridere gli altri bambini nel cortile, a Strasburgo. Poi arriva un'altra ala. È nera, minacciosa. Me la mima con la sua silenziosa danza e io mi rannicchio addosso al muro, perché, cacchio, fa paura. Sono i nazisti che invadono la Francia, e lui in realtà non si chiama Marceau ma Mangel, è ebreo. La famiglia fugge al sud. A diciannove anni, con il fratello, entra nella resistenza. Passaporti falsi, nuove identità, nuovi nomi: diventano Alain e Marcel Marceau. Il padre viene catturato dai nazisti e trucidato ad Auschwitz.
23 min
10 Mag 2022

Lo straniero

Fra cervelli fritti come noi si fanno anche cose strane. Ci siete? Con la testa e con il cuore? Okay, allora fate questo piccolo esperimento appena possibile, se vi va e ve la sentite. Andate in un luogo deserto, dove siete matematicamente certi che non vi sia anima viva. Controllate pure gli immediati dintorni, meticolosamente. Che sia uno spazio aperto, mi raccomando né ampio né troppo ristretto, una radura va benissimo, al tramonto è l'ideale. Ci sei? Bene. Ora sei impeccabilmente solo o sola. Tu e l'odore dell'erba sotto di te e il cielo sopra di te. Siamo a maggio, stasera l'aria è fresca, limpida, profumata. No? puzza di fumo? Allora gettala; la cicca, dico. Fai un bel respiro. Adesso prova a fischiettare, coraggio, una canzone della tua infanzia, l'ultima di Sanremo, un classico come My Way, qualcosa di melodico, non rock heavy metal, Na tazzulella e cafè di Pino Daniele, il Cielo in una stanza, qualcosa di fischiettabile con serenità. Quando comincerai ad ascoltare il tuo stesso fischio, in quel silenzio immacolato della sera, dopo aver controllato che nessuno può vederti, disturbarti, tantomeno minacciarti…la accetti una scommessa? Be' scommetto 10 a 1 che, inspiegabilmente, comincerai a provare una lieve, strana inquietudine. Continua a fischiettare (sennò la scommessa non vale, è il patto che abbiamo fatto e noi siamo leali, giusto? Noi albatros, SEMPRE). Ehi, ma che ti sta prendendo? Ti guardi intorno, ti sembra di aver visto qualcosa guizzare dietro la siepe, laggiù, stai cominciando a pensare che il fischio arrivi da qualche altra parte. Ma sei matto? E da chi, che hai già controllato prima!?
23 min
09 Mag 2022

Pulce

Sei nato a Melbourne in un bel giorno di autunno. Ti hanno chiamato Michael. Per festeggiare la tua nascita, il destino ti riserva un Bonus da cinque anni di Infanzia Felice in Australia. I tuoi decidono di trascinarti al di là dell'oceano e andare a vivere in una cittadina della provincia americana, una lunga catena di case con il portico e il vialetto. Ti fai un paio d'anni di Infanzia Normale, cena puntuale alle venti, papà sempre in giacca e cravatta. Poi i tuoi divorziano e tuo padre se ne torna in Australia, tu resti solo con la mamma e vi trasferite a New York City. Il bonus Infanzia Normale si esaurisce, lei si risposa con un jazzista. Mentre gli altri bambini la sera sono nei loro lettini, coperte rimboccate e favole della buonanotte, te ne stai seduto sul pavimento del salotto fin all'alba nel bel mezzo di una jam session. Al tuo nuovo papà piace invitare a casa i musicisti per suonare fino allo sfinimento, ed è una cosa meravigliosa. Però ti picchia, a te e a lei, quando non c'è la musica, quando non c'è la roba, perché il nuovo marito di tua madre è un tossicodipendente, sempre più manesco. Eri già scalato dal Bonus Infanzia Felice al Bonus Infanzia Normale, ti era rimasto in mano il bonus Infanzia Nonostante Tutto, ora l'infanzia te l'hanno tolta a schiaffi. E i tuoi decidono che è ora di cambiare, la famiglia si trasferisce a Los Angeles! Mamma e papà musicista sono sempre più fatti di roba e di alcool. Inizi l'adolescenza fumando erba, la acceleri con droghe pesanti. Pericoli in aumento, felicità non pervenuta, destino sparito; oppure era semplicemente questo: un destino di merda.
23 min
04 Mag 2022

Un'ingannevole voce d'angelo

Immaginate di stare qui con me, nella cella a fianco, siete appena stati internati. Nel fragore di chiavi e serrature, al mattino, sopra le proteste, le bestemmie o i pianti dei condannati nel braccio della morte, sentite una bellissima voce femminile che canta. Tenete presente che qui nel braccio siamo tutti maschi, detenuti, guardie, addetti alle pulizie. Quella voce, allora, ti fa l'effetto di quella di Silvia che cantava da una finestra spalancata sulla primavera di Recanati per far scrivere a Leopardi una poesia immortale ricordando "il tuo perpetuo canto", quello della giovinezza e, per noialtri qui, della libertà perduta. Quella voce nel corridoio si avvicina fino a fermarsi davanti al tuo portone blindato che viene aperto elettronicamente. Ti hanno appena sbattuto in carcere e non sai, pensi a una dolce infermiera, a una giovane dolcissima suora, ma quando questi sofisticati congegni da cassaforte scattano uno dopo l'altro e tu, speranzoso ti alzi, che quasi l'abbracceresti a quell'allegra giovane cantante, ti ritrovi di fronte la più perfida delle guardie, si chiama Joshua, Joshua Rivera, un ispano-americano detto, sinistramente, La Niña perché dentro un corpo da bue cela una voce da ragazzina cantante di flamenco, non si sa come faccia, è una roba da ventriloquo da far ghiacciare il sangue. In quelle albe dannate in cui è di turno, come senti cantare i suoi cavalli di battaglia, Despasito, Depende o la Camisa Negra, noi vecchi ci gettiamo direttamente in un angolo con le mani sulla testa, ma lui, di solito, riserva il trattamento ai novizi, che ci cascano sempre. Come fai a resistere a quella sirena, sepolto in questo inferno maschile, a quel suo canto seduttivo e fatale? E quel bue ci gode a farti la sorpresa picchiandoti a sangue, e lo fa continuando a cantare, eh?
23 min
03 Mag 2022

Miss Pam e l'era delle groupies

La più bella copertina di una rivista mai realizzata è quella del numero di febbraio 1981 della rivista "Rolling Stone"; l'autrice della foto è la sublime Annie Leiboviz. È uno dei ritratti più toccanti della storia della fotografia, Yoko Ono distesa sul pavimento, vestita di nero, John Lennon in posizione fetale, gli occhi chiusi, le si avvolge come un orsetto all'albero della vita, mentre la bacia. Poche ore dopo John e Yoko escono di casa; prima di salire sulla limousine che li aspetta, l'ex-beatle firma qualche autografo. Quando rientrano i fans se ne sono andati; tutti, tranne uno, che sfodera una calibro 38 e spara a John Lennon alla schiena. John cade dall'albero della vita. Con questo gesto assurdo e violento, muore anche la fiducia che le rock star avevano nei propri fans: finisce così l'era delle Groupies, le ragazze che gravitavano attorno ai musicisti rock negli anni 60 e 70. O almeno questa è la tesi di Pamela des Barres, detta Pam, la più iconica di tutte le Groupies. Erano anni carichi di anticonformismo radicale e gioioso: anche se l'immaginazione non era riuscita manco ad avvicinarsi al potere, ma il potere dell'immaginazione era esploso lo stesso. Oggi molti pensano che le Groupies fossero una sorta di cortigiane alla reggia del rock, qualcuno le confonde con le ragazzine che si svendono a qualche bavoso sperando di riuscire a infilarsi nell'anticamera dello spettacolo. Fate un bel reset. Dimenticatevelo.
22 min
14 Apr 2022

Zoo in guerra

La guerra che sconvolge l'Ucraina, ha provocato un grave danno collaterale. Ha terrorizzato -in molti casi ucciso- tanti animali. Se noi facciamo fatica a capire le mostruosità dell'anima nostra, ancora, nel 2022, capace di squarciare il cielo e i corpi con le bombe, figuratevi loro nel vedersi sfiorare da razzi e proiettili. Credo provino un terrore paragonabile al nostro se ci invadessero gli alieni più mostruosi del creato. Le pareti di questa cella, ve l'ho detto, sono piene di ritagli di giornale e di fotografie. Ce n'è una, in particolare, che mi assassina la vista e il cuore. Quella del cane rimasto ucciso insieme alla sua famiglia umana freddata alle spalle mentre erano in fuga. La foto lo inquadra esanime, nel trasportino inutilmente aperto. E nello zoo di Kiev o nell'ecopark di Kharkiv, com'è andata? Male, fratelli, male. Horace, Orazio, l'elefante asiatico era così terrorizzato dalle esplosioni che è stato messo sotto sedativi. Le zebre, al cupo fischio dei missili in caduta, tentavano di divellere il recinto, in preda al panico. E Maya il lemure, era così sopraffatto dalla paura, che ha abbandonato il suo cucciolo appena nato! Maya, una mamma, ossessionata dalla guerra, stava per uccidere il suo piccolo lemure. Gli inservienti dello zoo l'hanno salvato. Molti di loro sono andati a combattere per la resistenza, gli altri hanno aiutato gli animali a resistere. Si sono trasferiti dalle loro case nello zoo. Si sono riparati dai bombardamenti in una voliera, o nell'acquario ancora incompiuto, con le loro famiglie. Anche loro in gabbia.
23 min
13 Apr 2022

Partita a rugby con gli assassini

È una domenica di aprile del 1975. Un campo da Rugby, a 40 km da Buenos Aires. Scende in campo la squadra del "Rugby La Plata". L'arbitro fischia l'inizio della partita, ma i ragazzi del La Plata hanno chiesto un minuto di silenzio per il loro compagno Hernan Roca, che non giocherà. Non giocherà mai più, Hernan, mediano di mischia. È stato rapito e ammazzato pochi giorni prima. Il paese non è ancora caduto nelle mani dei golpisti, ma gli assassini della tripla A, l'Alianza Anticomunista Argentina, sono già in azione. Sono stati loro a sequestrare Hernan, che di politica non si interessava, quello in testa aveva solo lo studio, le ragazze e il rugby. Ma lo scambiano per suo fratello, che era impegnato nella sinistra peronista, quando si rendono conto di aver preso la persona sbagliata, a Hernan lo uccidono lo stesso. I suoi compagni sono in campo, i piedi piantati per terra e il dolore piantato negli occhi. Quando l'arbitro fischia la fine del minuto di raccoglimento, restano immobili. Il silenzio offerto al compagno trucidato diventa una sfida. Dura dieci interminabili minuti. A vent'anni ti credi ancora invulnerabile. "Mica possono ammazzarci tutti!". Si, possono, ragazzi del La Plata. Vi ammazzano tutti, su diciassette giocatori ne sopravviverà solo uno, Raul Barandiarán. Diciassette vittime fra le 30.000 o 40.000 persone torturate, uccise, fatte sparire durante i cinque anni del regime militare di Videla in Argentina.
23 min
12 Apr 2022

Dio cocco

August Engelhardt era un biondo giovanotto di Norimberga che alla fine dell'800 faceva parte di un piccolo gruppo d'avanguardia: loro erano i trisnonni dei vegetariani di oggi. Avevano stabilito che un primo passo per riallinearsi al giardino dell'Eden fosse quello di vivere nudi, come Adamo ed Eva, senza neanche la fogliona di fico; purtroppo, la Germania non era d'accordo e sosteneva che girarsene con le chiappette e tutto il resto di fuori non fosse legale. A quel punto August, che era un tipo testardo, decise che era giunta l'ora di emigrare e trovare un posto dove poter vivere nudi non solo legalmente ma tutto l'anno. Così se ne va nella nuova Guinea tedesca, si compra un'isoletta, ci si stabilisce, e pianta palme da cocco. Unico bianco e unico nudista tra quaranta melanesiani. Si nutre esclusivamente di frutta, smette di radersi e di tagliarsi i capelli. Ah, che figata! finalmente! Nonostante si fosse trascinato dietro un migliaio di libri, dopo un po' la vita da libero nudista fruttariano si rivela piuttosto solitaria. August inizia a far stampare opuscoli in Germania invitando a raggiungerlo a chiunque voglia vivere una vita in armonia con il creato. Intanto, sotto il sole dei tropici, anche la sua filosofia matura, assumendo i colori di una religione: il sole viene venerato, e il dio cocco è il cibo divino perfetto. Non solo perfetto ma piatto unico: Augustus si inventa il Cocovorismo (o il Coccorianesimo? Non lo so). Fatto sta che arriva qualche adepto pronto a gettare vestiti, rasoio e forbici alle ortiche e a nutrirsi e venerare esclusivamente Dio Cocco.
23 min
11 Apr 2022

Un esaltato in borsa

Nomen omen, dicevano gli antichi, nel nome il destino. L'ex comandante in capo della Borsa Valori indiana era una signora che di cognome faceva nientedimeno che Ramkrishna, Chitra Ramkrishna; un po' come se da noi il presidente di Piazza Affari si chiamasse Gesù, e lei la Madonna dei listini di Bombay. Poi tempo fa esplode lo scandalo. Si scopre che il migliore amico di Chitra è un guru himalaiano. Francamente sono rimasto perplesso: che male c'è ad avere come maestro un sant'uomo? Fossi stato un risparmiatore indiano mi sarei sentito più "benedetto" nei miei investimenti. Invece scoppia un putiferio. Pare che madame Chitra RamKrishna fosse un burattino nelle sue mani. Gli investigatori setacciano scambi di email nel computer della divina presidentessa della National Stock Exchange of India e scoprono che la potentissima discepola chiedeva il consiglio dello yoghi prima di prendere decisioni cruciali. E fin qui, non vedo peccato. Al suo posto c'è chi si rivolge per un consiglio a speculatori internazionali come Soros, tutto sommato sentire come butta nel mondo dello spirito se indaghi su un'azione o su un fondo pensione, male non fa. Poi però un dubbio mi è venuto, sempre per quella fissa che ho io sul Nomen omen. Perché il nome del suo maestro spirituale è "Sironmani" che tradotto in italiano mi pare voglia dire L'Esaltato. E che l'ex regina della borsa di Bombay, nominata Donna dell'Anno dalla rivista Forbes, si rivolgesse a un Esaltato, qualche perplessità te la mette. Ma questo è niente.
23 min
06 Apr 2022

Il "bambino bianco"

Verso la fine degli anni Sessanta, le madri di noi ragazzini della periferia romana ci portavano a giocare a Villa Gordiani, al Prenestino, fra le antiche rovine della villa patrizia di tre imperatori, Gordiano I, II e III. Avevo un amichetto del cuore, "Euhenio", come lo chiamava la mamma, colombiana. Ma eravamo tutta una folla di ragazzini che giocavano a pallone, scavavano trincee, si lanciavano pietre o manciate di vermi, spesso si facevano male sul serio, al sangue. Eravamo settari, discriminatori, un po' razzisti. Anche un bambino povero alzava il sopracciglio e trattava con disprezzo un bimbo più povero di lui. E le mamme non erano da meno. Ogni sera, verso il tramonto, spuntava dal fondo del viale una madre diversa dalle altre. Era una Madonna addolorata, perché aveva un figlio di una decina d'anni, alto e magro, con tutti i capelli bianchi. Quel povero piccolo era affetto da una grave malattia che disarticolava i suoi incerti passi. Avanzava, nell'ultimo sole e nella polvere, oscillando con le braccia come a cercare nel vento un sostegno impossibile, e le gambe facevano lo stesso. Da lontano, lui ci sorrideva. Aveva un pallone rosso e riusciva a farlo rimbalzare nonostante quel rutilante squilibrio. Ci sorrideva, invitante. Mentre la mamma ci guardava, presaga, con severa malinconia. Perché noi, piccoli stronzi, nel vederlo apparire gridavamo tutte le volte, fingendo spavento: "Il bambino bianco! Il bambino bianco!" e fuggivamo in tutte le direzioni.
23 min
05 Apr 2022

I benaltristi

Non c'è niente da capire, significa che non c'è, sempre, una risposta a tutto. Vuol dire che il nostro mondo interiore, come quello reale, è maledettamente complesso e la smania di interpretarlo immediatamente, di illudersi sempre di avere la risposta pronta, è un brutto vezzo e vizio della nostra epoca. Fateci caso, su Internet abbiamo tutti la rispostina pronta. Ed è quasi sempre un benaltrismo. Che cos'è? Il benaltrismo è l'atteggiamento di chi elude un problema sostenendo che ce ne sono ben altri, più gravi, da affrontare. Si comincia in famiglia, da piccoli. "Jack" dice la mamma "hai lasciato la cameretta come una porcilaia". E il bambino chiama in causa il fratello: "Ieri Alberto ha dipinto sui muri coi colori e non gli hai detto niente!". Tuo padre ti rimprovera da adolescente perché ti fai troppe canne? Rispostina: "Ieri tu e mamma da soli vi siete scolati una boccia di rum". E che ci azzecca? Non è che il tuo sbaglio, visto quello dell'altro, diventi una virtù. Scoppia la guerra in Ucraina, i carri armati russi invadono una città europea. Scrivo un post sull'invasione, e subito c'è quello che "Però in Yemen sei rimasto zitto eh?" A parte che dello Yemen Jack ne ha parlato, e non una volta sola, basterebbe ammettere che, purtroppo, siamo fatti così. Se parli inorridito della strage del Bataclan a Parigi, "Rispostino" ti messaggia al volo: "In Ciad succede ogni giorno". Se scrivo "Putin ha fatto male a invadere l'Ucraina", che la Cia abbia rovesciato governi di altri paesi, mettendo al comando dittatori fantoccio, non cambia il concetto. Due assassini restano due assassini. Non è che improvvisamente uno dei due è innocente solo perché l'altro, in un'altra parte del mondo, ha ammazzato a sua volta. Ma per i benaltristi le cose stanno proprio così, e gran parte della comunicazione contemporanea, non solo sui social ma anche su certi giornali, è inquinata dal benaltrismo e i "Rispostini" sono presenti in tutti i talk show di approfondimento politico. "I problemi sono ben altri" dice il benaltrista. No, amico caro. Per la verità, il problema sei tu.
23 min
01 Apr 2022

La carica della cavalleria sul mare

Voglio farvi vedere una foto meravigliosa alla radio. Voglio che vi resti impressa, perché -anche se è una fotografia di guerra- è un'immagine di una bellezza spettacolare. Forse dovreste figurarvi un quadro, un grande affresco notturno di navi sul mare, perché durante la Rivoluzione francese, quella notte del 1795, un anno prima che Napoleone Bonaparte iniziasse la Campagna d'Italia non erano ancora state inventate né le macchine fotografiche né la radio. Miei albatros, finiamola qui, immaginatevela come vi pare, perché è una storia incredibile ma è accaduta davvero. Quindi non c'è sforzo di fantasia da fare. Siamo nel porto di Den Helder, in Olanda. I 14 vascelli da guerra della grande flotta olandese, più alcuni mercantili carichi di ogni ben di Dio, sono ammassati l'uno accanto all'altro, sotto la luna piena. Che meravigliosa preda per i loro nemici, i rivoluzionari francesi. Sapete, c'era una grande coalizione schierata contro di loro. Tutte le più decrepite monarchie europee (inglesi, prussiani, austriaci, spagnoli, inglesi e perfino il nostro piccolo Regno di Sardegna) vedevano con il fumo negli occhi la Repubblica. Se fossimo stati re e regine pure noi, l'idea di finire decapitati, solo due anni prima, come Maria Antonietta, la vedova di Luigi XVI re di Francia, non ci avrebbe fatto dormire la notte. Quindi? Quindi tutti coalizzati contro il direttorio rivoluzionario di Parigi, che ha già conquistato Amsterdam. Ci siete? Il generale francese Pichegru viene a sapere di quella flotta nel porto di Den Helder. Le sue spie lo informano che i vascelli olandesi sono pronti a fuggirsene in Inghilterra, dai loro alleati, per organizzare una controffensiva alla Francia. Ve lo ricordate, vero, cosa fecero i giapponesi un secolo e mezzo dopo a Pearl Harbor no? L'attacco a sorpresa alla flotta americana. Ma qui siamo nel Settecento, al posto degli aerei ci sono i cavalli. E il generale Pichegru che fa? Invia di notte, in segreto, un reggimento di ussari a cavallo più uno di fanteria. E siamo finalmente alla grande immagine che volevo mostrarvi alla radio. Centinaia di cavalieri ussari che galoppano sul mare contro la flotta olandese. Li vedete? Spettacolare, ve l'ho detto. E su ciascuno di quei cavalli, oltre al cavaliere, è montato in groppa anche un fante. E catturano tutta la flotta. Voi direte "Jack, va bene che c'hai la fissa della rivoluzione, ma com'è possibile che gli ussari galoppassero sulle onde?" No, fratelli, non è una bufala, è che il mare era ghiacciato. I francesi avvolsero gli zoccoli dei cavalli con la stoffa, per non fare rumore e svegliare i marinai olandesi e li circondarono. I vascelli nemici non riuscirono a contrattaccare perché le loro chiglie, intrappolate nella morsa dei ghiacci, erano leggermente oblique, si erano arenate di sbieco, e i cannoni puntavano in basso, sul ghiaccio, non ad altezza d'uomo. Non solo fu la prima e unica battaglia fra la Cavalleria e la Marina che la storia ricordi, ma non ci scappò neanche un morto. Tutta la flotta olandese fu fatta prigioniera senza sparare un colpo. E in quella notte bellissima, poetica e gelata, tutti i monarchi insonni d'Europa sudarono freddo dal terrore.
23 min
31 Mar 2022

Nonostante te

Hola hermanitas ed hermanitos, benvenuti in questo programma senza mordacchia, senza censura. In Brasile, invece, son tornate le forbici, brutta storia, anche perché mettere il bavaglio a film, libri e soprattutto al samba, era stata una vera ossessione per il governo militare, conosciuto anche come regime dei Gorillas, la dittatura che appestò quel magico paese per ventuno anni dal 1964 al 1985. Sarà forse perché alla presidenza c'è un militare in pensione come Bolsonaro? Uno apertamente nostalgico del regime militare, difensore della tortura, uno che considera gli artisti una banda di pericolosi comunisti? Fatto sta che i grandi cantori del Brasile, Chico Buarque, Caetano Veloso, Gilberto Gil e altri 25 musicisti si sono riuniti attorno a un tavolo, come quel lontano lunedì dell'inverno carioca, era il 29 luglio del 1985. Allora erano tutti assiepati in un vecchio teatro di Rio de Janeiro, la dittatura militare appena finita, quel palco sapeva di rose, strofe incandescenti, libertà. Durante gli anni di piombo, Chico Buarque era stato l'ossessione dei censori. La sua canzone più ribelle, il samba Apesar de você, rischia di nuovo di essere oscurata, com'è appena accaduto a un fumetto con due supereroi che si baciano sulla copertina o al veto sulla televisione pubblica della clip O Real Resistenze, del cantante Arnaldo Antunes. E così, come quel giorno d'inverno nel teatro freddo e polveroso, ma con l'aria che già sapeva di primavera, gli artisti si sono riuniti e ne è nato un libro e una playlist con 100 loro canzoni incriminate. S'intitola Mordaça, che in portoghese vuol dire bavaglio, e racconta come questa marea di artisti brasiliani ha resistito allora e resiste ancora oggi alla censura. Apesar de você, di Chico Buarque, irrita il potere perché, mezzo secolo dopo, sembra scritta ieri per Bolsonaro. Tradotto, il titolo vuol dire Nonostante Te, o se preferite, Tuo malgrado. I primi versi sono questi: Oggi sei tu che comandi/ la tua parola è un ordine, non c'è discussione/La mia gente, oggi, parla guardando da una parte e con gli occhi bassi/ Tu che hai inventato/tutto questo Stato, tutto questo buio/ Tu che hai inventato il peccato/ti sei scordato di inventare il perdono". La canzone andò sulle radio come il vento, il disco vendette centomila copie, finché i generali, lenti come buoi, compresero il suo vero significato. Colpirono l'etichetta discografica PolyGram, distrussero le copie, e la festa finì.
24 min
30 Mar 2022

Un amore

Tutti abbiamo conosciuto ragazze o ragazzi straordinari. La mia si chiamava Vincenza, assomigliava alla Cardinale del "Gattopardo", era calabrese, 18 anni, viveva a Roma con i genitori, severissimi, doveva rientrare a casa alle nove di sera o erano guai. Però era fidanzata con un quarantenne dal nome altisonante, su questo non mi risulta dicessero niente. Mi ero imbucato a un diciottesimo, una festa dei quartieri alti, ero uno del Prenestino, fuoriposto, con un abito blu di mio padre, pure macchiato, e non conoscevo nessuno tranne il tipo che mi aveva imbucato. Vincenza era in abito lungo, ondulato, di un verde che sembrava il mare di Stintino. Riuscii a scambiarci due parole. Dall'emozione inciampai in uno scalino. Tutti risero. Sembravo una pelle d'orso sdraiata sul parquet. Tampinai chiunque la conoscesse. Tutte le volte che la intravedevo, restavo a bocca aperta come la prima volta che vidi il mare. Seppi poi che quel quarantenne l'aveva mollata, lei era annegata nel dolore, perché poco dopo era morta anche sua madre, il padre si era risposato, e adesso poteva tornare a casa pure all'alba, era libera, nessuno la controllava, la amava né la sgridava più. "Poverina è impazzita", dicevano i suoi amici. Quando chiedevo sue notizie rispondevano "Chi l'ha vista?" come se fosse stata un'ospite scomparsa della Sciarelli. È vomitevolmente straordinario come i gruppi che ti tenevano in palmo di mano, alla minima difficoltà, disagio economico o morale, ti abbandonano senza battere ciglio. La cercai ovunque, nessuno ne sapeva più niente. Dimenticai. Solo nei sogni Vincenza mi appariva in quell'abito lungo verde mare. Molti anni dopo, fermo a un semaforo rosso, in macchina, dalle parti di via Veneto, vedo una giovane creatura coi capelli alla Jimi Hendrix, magra come una virgola in una frase senza parole. Aveva un lungo bastone sulle spalle, come i vagabondi delle fiabe, con in cima un sacchetto di tela nera con i suoi effetti personali. Ai piedi sandali da francescano. Ma il volto era il suo, bello come allora, ma più adulto, sofferto, con un vago sorriso sbandato. Abbassai il finestrino, la chiamai "Vincenza!" Si girò, mi guardò, non mi riconobbe, o così mi parve.
23 min
29 Mar 2022

Quando i lager erano in America

Non so se la storia si ripeta ma so che se la dimentichiamo saremo condannati a ripeterla. Lo dico perché qui in America, da quando Donald Trump puntò il suo ditone minaccioso contro gli asiatici, accusandoli di aver contagiato gli americani con il "loro" virus cinese, ha alimentato l'odio razziale che cova da sempre sotto le braci della storia. Recentemente Christina Yuna Lee, di 35 anni, è stata seguita da uno di questi sciroccati fans sanguinari di Trump che l'ha accoltellata nel bagno della sua casa di Manhattan, mentre un'altra asiatica, Michelle Go, l'hanno spinta sotto la metropolitana. L'elenco è lungo, cinesi e giapponesi per le strade sono costretti a guardarsi alle spalle. Ma è proprio vero che la storia si ripete una prima volta come tragedia e una seconda come farsa? No, sarebbe troppo grandioso –ha scritto Julian Barnes, autore di romanzi polizieschi. "La storia" dice, "si limita a eruttare e a farci riassaporare il gusto del sandwich alla cipolla cruda che aveva ingoiato secoli prima". Quel cattivo gusto m'è ritornato in gola ricordandomi che ottanta anni fa la democrazia degli Stati Uniti commise uno di quegli atti che fanno parte della storia dell'ignominia. Il presidente Franklin D. Roosevelt, lo stesso uomo ammirato per il New Deal e per il suo aiuto ai più bisognosi, il 19 Febbraio del 1942, in seguito all'attacco giapponese alla flotta americana a Pearl Harbour, firmò un atto razzista che sarebbe tanto piaciuto a Hitler. Fece internare 120.000 giapponesi (un terzo dei quali nati in America) in campi di concentramento, solo perché erano giapponesi. Erano spie di Tokyo? Avevano commesso atti di sabotaggio contro i marines? Complottavano nell'ombra? Macché.
23 min
15 Mar 2022

Fatture maledette

Dopo la caduta del muro di Berlino sono stato con un videomaker nell'Arcipelago di Sao Tomé e Principe, il piccolo Stato indipendente dell'Africa, nell'Oceano Atlantico. Volevamo raccontare l'eclissi del comunismo sovietico vista dall'equatore. "Jack ma eravate sciroccati, strafatti, o cosa?" Un po', ma quelle isolette, albatros di poca fede, erano presidiate da russi, cecoslovacchi, cubani, tedeschi dell'Est, perché erano l'osservatorio ideale per i loro satelliti in orbita. Il mio amico, che conosceva Sao Tomé, aveva saputo che i comunisti stavano smantellando le loro postazioni, e partimmo per raccontare la caduta dell'impero sovietico e le sue ripercussioni, non a Mosca o a Berlino, ma alla periferia dell'equatore, in quei francobolli di terra che sarebbero tornati nella piena e libera proprietà dei nativi. Arrivammo a Sao Tomé, affittammo un grande bungalow, per metà occupato dalle attrezzature e dalla troupe, e assumemmo parecchi collaboratori locali. La scena era strepitosa, gli ultimi comunisti stavano evacuando, mentre, giustamente, molti nativi gli rubavano tutto. Il mio amico filmava questo divertente trionfo del capitalismo indigeno sul comunismo in fuga. E vedevi nativi in uniforme (la loro divisa è maglietta, pantaloncini e ciabatte) arraffarsi di tutto. Riuscirono a imboscarsi anche un paio di centrifughe per il plasma, pur se ignoravano assolutamente a cosa servissero. Fantastico. Io presi una jeep, un cameraman locale e un paio di guide e me ne andai a tre ore da lì, per filmare i luoghi dove stazionavano le navi negriere, perché Sao Tomé e Principe erano uno snodo della via crucis dello schiavismo. Qui i bianchi caricavano acqua dolce e frutta e scaricavano sull'isola gli schiavi ribelli e malati. Improvvisamente mi chiama il mio amico: "Jack devi tornare subito! Ci stanno rubando tutto pure a noi. Non gliene frega niente che non siamo comunisti". Quando arrivo al villaggio, il mio amico è pallidissimo e ha accanto lo sciamano che gliene grida di ogni, a lui, e alla dozzina di nativi che abbiamo assunto. "Jack dobbiamo cambiare isola o questi ci bruciano tutto". E così ce ne andiamo con tre jeep, l'attrezzatura, la troupe e a me faceva ridere questa cosa che ci trattavano da sovietici e che il muro di Berlino ci fosse cascato in testa pure a noi, ma all'Equatore. Ma mentre il mio amico e io la prendiamo sportivamente, ci accorgiamo che i nativi, seduti dietro, hanno una faccia da cadaveri, tremano, sono assolutamente terrorizzati. "Ehi che vi prende?" E una guida, balbettando, mi spiega: "Lo sciamano ha lanciato contro di noi e contro di voi delle fatture tremende. Siamo spacciati. È già successo altre volte, lui è potentissimo, non abbiamo scampo". Dico all'autista di fermarsi, scendo, faccio un'espressione truce, allungo il braccio, indico in lontananza lo sciamano, che è un puntino colorato laggiù e gli grido delle solenni maledizioni in romanesco, così per ridere, allentare la tensione. Però serissimo, grave. E ci rimettiamo in marcia. Dopo un po' mi giro e vedo i nativi tutti contenti che chiacchierano allegri nella loro lingua, dandosi grandi pacche sulle ginocchia. "Ehi, ma perché adesso siete tutti contenti?". "Perché lo sciamano ora starà morendo di paura. Lo sanno tutti che le fatture dei bianchi sono mooolto più potenti delle sue!". Chiedo: "Scusate, quali fatture dei bianchi conoscete anche voi"? E in piena coscienza l'autista, l'operatore, la guida fanno a gara a raccontarmi le "fatture" di Terminator che attraversa i muri, solleva i camion con un dito, e con un soffio abbatte gli alberi.
23 min
03 Mar 2022

Un sedicenne in crociera

Sotto il piatto del mio compleanno, a sedici anni, trovai un biglietto per una crociera, da solo. "Per il mio ometto che diventa grande", c'era scritto. Si era svenato, papà, ma a bordo capii che, per risparmiare, mi aveva messo in terza classe, una cabina più piccola di questa cella, vicino alla sala macchine, quasi sott'acqua. Chiasso e caldo da inferno. Però mi aveva pagato l'extra per farmi consumare i pasti nel salone di prima classe, con i ricconi. "Così fai conoscenze che potranno tornarti utili". Non solo, mi regalò un abito blu. La nave toccava, ogni giorno, un porto diverso: da Barcellona a Tunisi, con imbarco a Genova, dove papà mi accompagnò da Roma con la sua Fiat 1300 color topo. Le crociere non erano come oggi: masse urlanti che fanno karaoke o si presentano al buffet con le ciabatte da spiaggia. Un maître elegantissimo mi accolse in una sala dove la gente era vestita da sera e a tavola si sussurrava. Ero certo che avrei cenato a un tavolino da solo, e ne ero felice perché ero timido e diventavo rosso a ripetizione, ma il maître disse: "…Abbiamo studiato con la mia equipe quale potrebbe essere il tavolo più adatto per lei, che è così giovane. È un tavolo da otto, capirà da solo, immediatamente, perché l'abbiamo scelto. Non è stato facile". E mi accompagnò dov'erano seduti un americano e sua moglie, uno svizzero solitario (era uno scrittore che aveva bevuto con Hemingway), un avvocato palermitano di mafiosi e la moglie, tutti in smoking e abito lungo per le signore ingioiellate, e poi c'era una madre di Parma con sua figlia, bionda con le lentiggini, della mia stessa età. Così capii la strategia del maître e m'innamorai all'istante diventando rosso come un peperone. Ricordo il primo bacio all'insaputa di sua madre (che la seguiva anche in bagno come una guardia giurata) nascosti sul ponte di comando sotto le stelle d'Africa.
23 min
02 Mar 2022

PIccoli e grandi padri.

Nell'incipit del suo libro "Storie di padri e figli" un formidabile romanziere spagnolo che si chiama Manuel Vasquez Montalban ha scritto: "Nessuno può sfuggire a questa relazione. Siamo tutti figli di qualcuno". Perché ci possa essere una madre, un padre ci vuole per forza. Vi sembra ovvio? A me no, la storia, vecchia e nuova, è una storia di padri inadeguati. Ulisse dell'Odissea, eroe ma pessimo padre: piglia e pianta moglie e figlio per andarsene in giro in barca con gli amici e sparisce per dieci anni. Amleto si ritrova un padre di quelli davvero evanescenti: un fantasma che lo trascina sulla strada della vendetta e della rovina, e pure il Signor Banks il papà dei bambini affidati all'Idolo di Tutte le Baby Sitters, Mary Poppins, è un genitore incapace e assente. Nella realtà va pure peggio: Jean Jacques Rousseau, ha avuto cinque figli che appena venuti al mondo ha fatto scaricare direttamente all'orfanotrofio; Charlie Chaplin aveva non solo l'abitudine di sposare ragazzine ma di farci un sacco di figli che pare abbia sempre trattato da cani. Che è una frase fatta, anche perché i cani di solito li trattiamo meglio. Naturalmente ci sono anche quelli che, quando la mano minuscola della figlia si chiude attorno al loro mignolo, cedono all'istinto di avvolgerla e marinarla in un brodo d'amore incondizionato. Il papà di Franca Viola era uno di questi. Ve la ricordate? È passata alla storia come la prima rivolta siciliana di una ragazza ribelle contro il maschio mafioso e padrone, ed è sacrosanto, ma c'era un altro protagonista buono dietro le quinte: suo padre.
23 min
01 Mar 2022

Jack Folla, un dj nel braccio della morte del 01/03/2022

È il 1923, Hitler ha appena tentato il colpo di Stato nella birreria di Monaco. Siete uno scrittore ebreo ungherese, naturalizzato austriaco. Come un capriolo che sente nel vento la presenza di un cacciatore, percepite il grande incendio che sta per infiammare l'Europa, ma intuite anche di peggio: che voi, così come ogni altro ebreo, siete in grave pericolo. Il vostro cognome è Salzmann, Siegmund Salzmann, e con uno pseudonimo, Felix Salten, decidete di scrivere un libro per avvertire tutti della minaccia nazista incombente. Ovviamente non potete scrivere "Hitler è un folle e ci sterminerà". Quindi scrivete una grande metafora, ispirandovi agli animali della foresta. Ci siete? E la intitolate "Bambi, la vita nei boschi". L'avrete visto anche voi il Bambi della Disney da bambini, vero? Nell'originale era un capriolo, non un cerbiatto. E il vostro racconto era dedicato agli adulti, non ai più piccoli. Volevate avvisare il mondo che i nazisti potevano sterminare milioni di ebrei. Il famoso incendio nel bosco è allegorico, voi, Felix Salten, descrivendo gli animali che fuggono terrorizzati dalle fiamme, state parlando, (tutti i grandi scrittori sono profetici) dei campi di sterminio e della Shoah. Bambi antinazista. Vi sembra incredibile? Ai nazisti per niente. Infatti bandiscono il vostro libro, che era uscito in Austria ormai annessa alla Germania. Hitler e i suoi seguaci non ci cascano a quella metafora, Bambi è "propaganda ebraica", intuiscono che la morte della mamma di Bambi, l'incendio nel bosco e tante altre scene sono un'allegoria politica alle violenze antisemite. E al posto del bosco, bruciano il libro. Siamo nel 1935, solo tre anni prima della Notte dei cristalli e dei rastrellamenti degli ebrei inviati nei campi di sterminio sui treni della morte. Nel vostro Bambi avevate scritto: "Bisogna udire, fiutare, vedere da soli. Bisogna imparare da soli". Ora fiutate che l'unica cosa da fare è fuggire, e riparate in Svizzera, più soli ma anche più poveri di prima. Per farlo, cedete i diritti cinematografici di Bambi a un regista americano per soli 1000 dollari. Quel regista rivende la storia, in una traduzione parziale e edulcorata, a Walt Disney, che elimina ogni altra metafora antinazista, trasforma Bambi da capriolo in cerbiatto, e ne fa una favola per bambini.
24 min
22 Feb 2022

Franco, un grande ignoto.

Ogni tanto lo rifaccio, ci ricasco, la mia testa va a intrupparsi con un vecchio amico che non c'è più; il fatto è che Franco mi manca, gli devo tutto, che posso farci? Niente, sbomballarvi alla radio con uno di cui direte "Jack, scusa, ma questo chi è?". Lo so, Franco Rispoli è stato un giornalista ignoto, come il milite. Con Ennio Flaiano avevano scritto un soggetto cinematografico rimasto inedito. S'intitolava "La madre del milite ignoto". Giuro, me l'ha lasciato sul testamento. Mi ha avvisato il notaio. C'era scritto "Jack, è tuo, scrivilo tu". Era ispirato a una povera donna realmente esistita che girava per Roma nel '45, e la notte irrompeva al ristorante Cesaretto in Via della Croce reclamando a gran voce una pensione di guerra. Anche quella mattina era stata al Ministero, ma non c'era stato verso. "Volete che un figlio non sia noto alla sua mamma? E morto in guerra poi?". Macché, quelli si erano ficcati in testa che il figlio era ignoto al 100% e non si poteva riconoscere una pensioncina di guerra a una madre non meno ignota di suo figlio. Del soggetto di Franco e Flaiano non si girò un film perché aveva un finale duro, che metteva in dubbio l'Ignoto e perfino la Mamma (per non parlare della Patria). Se era già un'offesa "Figlio di madre ignota", figurarsi "Madre di figlio ignoto"! A farla breve, una notte, al termine di mille peripezie, la poveretta si arrampicava sull'altare della patria e, con gli occhi sbarrati e una voce da soprano, si rivolgeva alla causa di tutte le sue disgrazie: la tomba di un soldato raccolto a casaccio in qualche trincea della Grande Guerra. "Di' finalmente come ti chiami a tutta Roma! Diglielo, parla, gridalo qual è il tuo vero nome, figlio mio!". Dopo una terribile pausa, una voce metallica risuonava nella tomba: "Otto Weininger!". Era un tedesco.
24 min
18 Feb 2022

La vecchia barzelletta del gorilla

Due vecchi amici Apachi, molto ricchi, partono per un gran safari in Africa. (Apachi? Ai miei tempi erano due di Brescia, ma vabbe'). Nella jungla, uno dei due si perde nella boscaglia, inseguendo una tigre. Si fa notte e il disgraziato non riesce a ritrovare la strada per il bungalow. Improvvisamente una massa nera e pelosa lo sorprende alle spalle. È un orango enorme che lo violenta a ripetizione e lo tiene segregato in una grotta. Dopo due giorni di tormenti, di violenze, di aberrazione, l'enorme orango sparisce nella foresta per procurarsi cibo, ma non fa più ritorno. Così, il cacciatore esce dalla grotta e si avventura nella jungla, si perde, e dopo ore ed ore di vagabondaggio disperato, ritrova la pista e finalmente rivede l'hotel. Il suo amico si scaraventa fuori dal bungalow e gli corre incontro fra le palme: "Che fine hai fatto? Ti credevamo morto. Ma che ti è successo? Parla, racconta, dimmi!" Ma lui scuote la testa, si vergogna, non ci sono parole. L'amico insiste, esige di sapere. "No, ti prego, non chiedermelo, è stata un'esperienza devastante, per favore, abbi pietà di me, lasciami perdere." L'amico non demorde, è preoccupato, sincero. "Confidati, devi farlo, devi! ci conosciamo dai tempi della scuola. Sono l'unico che ti possa capire. Parla, racconta, spiega!" E lui, alla fine, crolla: "Va bene, ma non dirlo mai a nessuno, me lo devi giurare". Sussurra: "Sono stato violentato da un gorilla per due giorni e due notti." L'amico lo guarda in tralice sotto il sole africano. Il volto devastato dall'ansia, la barba selvatica, lo sguardo perduto. "Su questo puoi mettere la mano sul fuoco, povero amico mio. Non devi preoccuparti. Nessuno lo saprà mai. Io sarò una tomba, e il gorilla -di certo- lui non parla." E l'altro, con voce straziata: "Appunto! Non parla, non mi telefona, non si fa trovare, non ne vuole più sapere di me!"…Ha ha, col cavolo che con l'età si diventa più saggi, a me è aumentato il tasso di stupidera infantile. È drammatico, mi fa ancora più ridere! E questo era il gorilla milanese di Nanni Svampa che cantava il suo omonimo francese, il gorilla di Georges Brassens.
24 min
16 Feb 2022

Quando i sogni si avverano.

Ciao piccoli e grandi albatros dalle ali sforacchiate dai colpi bassi della vita, cosa vi manca ancora di questa vecchia terra? A me, in galera, viaggiare. Mi son rimasti qui tutti i paesi che non ho visitato, i milioni di volti che non ho incrociato, le migliaia di anime dalle quali avrei imparato qualcosa. Però una soluzione l'ho trovata con l' "Atlante delle isole remote: Cinquanta isole dove non sono mai stata e mai andrò" di Judith Schalansky. In una di queste, un piccolo atollo della Polinesia, si è conclusa una storia vera che non vedevo l'ora di raccontarvi. Un bambino francese di 6 anni, che si chiama Marc, narra a mamma e papà di un sogno che si ripete tutte le notti. Il piccolo riceve la visita di un vecchio che gli impartisce lezioni misteriose. L'anziano signore gli insegna una lingua sconosciuta della quale il bambino, notte dopo notte, impara gli oscuri vocaboli. Nessuno, in famiglia, riesce a capire cosa dica. Ne sono tutti affascinati e terrorizzati. Quel bambino è un divoratore di libri e molti anni dopo, trentatreenne, vive appartato dal mondo, in Bretagna. La sua storia infantile (ma le lezioni notturne continuano) giunge all'orecchio di alcuni ricercatori dell'Università di Rennes. Sarà vero o è una bufala? I professori vogliono scoprirlo e per un paio di anni tentano di decifrare la lingua dei sogni di Marc, ma non ci riescono neanche con l'aiuto dei loro enormi e sofisticatissimi calcolatori. Un giorno i ricercatori hanno l'idea di andare per i bar del porto a chiedere ai marinai in libera uscita se qualcuno di loro abbia già sentito quella lingua da qualche parte.
23 min
15 Feb 2022

Citazioni a sproposito

"La solitudine è una caverna illuminata al neon". Chi ha detto questa frase? Thomas Edison? Pascal? Papa Luciani? Nessuno. L'ho detta io. È la prima fesseria che m'è saltata un secondo fa come una pulce sulla capoccia. Ma se "la solitudine è una caverna illuminata al neon" ve l'avessi sparata con l'amplificatore, premettendo "Come disse una volta Einstein", probabilmente ci sareste cascati, qualcuno l'avrebbe rilanciata sui social e fra due anni, in un saggio sull'uomo di Neanderthal, un antopologo avrebbe scritto in prefazione: "L'uomo della preistoria era un solitario, non sapeva cosa fosse il fuoco ma nel buio e nell'isolamento aveva imparato a pensare. Come diceva Einstein "La solitudine è una caverna illuminata al neon". Ma che ci azzecca il neon con le caverne? Una beata mazza, però se ficchi il genio della fisica nell'incipit del tuo mediocre saggio, al lettore farà un effetto tale e quale se avessi scritto "Come mi diceva sempre mio zio Albert…" Poveri grandi, citati sempre a sproposito. Galileo Galilei, per esempio. Disse davvero "Eppur si muove!" davanti al tribunale dell'Inquisizione? Ma quando mai? La famosa frase gliela mise in bocca Giuseppe Baretti, uno scrittore. Perfino una citazione celeberrima come "Elementare, Watson" Sherlock Holmes non l'ha mai detta. Cercatela con la lente nei libri di Conan Doyle. Non la troverete. C'è solo uno scambio di battute fra Sherlock e Watson, in cui quest'ultimo esclama "Semplice" e Sherlock risponde "Elementare". Ma "Elementare, Watson" non c'è, smettiamo di dirlo. Un ultimo esempio prima del gran finale, una delle frasi più citate di sempre: «Se non hanno pane, che mangino brioche!». Attribuita a Maria Antonietta, la regina ghigliottinata dai rivoluzionari. La sprezzante battuta delle brioches al popolo la trovate nelle Confessioni di Jean-Jacques Russeau, attribuita a una principessa senza nome, che la pronunciò nel 1741. E Maria Antonietta nacque 14 anni dopo, quindi, ammettendo pure che col suo primo vagito l'alito le puzzasse di brioches ammuffite, non poteva proprio averla detta lei.
23 min
14 Feb 2022

Attacco di tachicardia

Stanotte ho avuto una crisi di panico, stavo per chiamare le guardie, il cuore mi balzava fuori dal petto come una tigre e io era la sua preda. "Un'iniezione di Valium, please!" Mi sono tappato la bocca. E se con la scusa dell'iniezione mi avessero fatto quella letale? Meglio non servire al direttore di questo Ammazzificio una siringa sul vassoio d'argento. Ho consigliato a quella tigre tachicardica di ritornarsene nel suo dolce nido nel torace, come un passerotto. Ci ho impiegato un paio d'ore a convincere la tigre a diventare un passerotto, sapete come? Controllando il respiro e auto-convincendomi che il braccio della morte non è l'inferno ma il paradiso. Adesso non so neanche se sto parlando o cinguettando, ma so per certo e provato che con quello che ci capita dobbiamo comportarci da delinquenti: dobbiamo scassinare la realtà e svaligiarla del suo significato. La realtà non è il tuo padrone, sei tu a possederla. È tua o no? Io ho questa cella. Il suo mediocre significato è: detenzione, isolamento, inferno. Stanotte l'ho scassinata di questi oggetti ingombranti, li ho gettati in discarica, e l'ho arredata d'azzurro come piace a me. Ora è un giardino fra le nuvole. Non ho più ansia né panico. Vivo nel più confortevole degli spazi possibili. E ho pure un microfono per dirvelo. Una sola cosa mi dispiace. Che altre migliaia di detenuti non lo sanno. Così ho cliccato su Google due parole: una era Carcere, l'altra era Zen. E che ti ho scoperto? Che c'è un maestro, Dario Doshin Girolami, che insegna meditazione Zen in carcere, a Rebibbia. Prima di tutto, attraverso il respiro, vivendo un istante alla volta, e poi aiutandoli a svaligiare (come ho fatto stanotte) quei sentimenti che proviamo tutti (rabbia, paura, odio) dai loro spauracchi disturbanti. Ogni violenza, svuotata dal male, può ritornare nello stato di perfetta innocenza.
24 min
04 Feb 2022

Sogni a pagamento

"Ciao Jack, il 1 gennaio ho vinto il jackpot Powerball da 768 milioni di dollari. Commossi per questo coronavirus che sta uccidendo la gente, con la mia famiglia abbiamo deciso di donare una bella sommetta a cinque persone a caso nel mondo. Ho scelto volontariamente di donarti 2.800.000,00 euro. Potrai usarli anche per aiutare la tua comunità. Essendo tu una delle 5 fortunate persone prescelte, rispondi subito a questa email per ulteriori informazioni. Questo il tuo codice di donazione: [MF4322019] Rispondimi con il codice di donazione. Spero tanto che tu renda felice i tuoi cari. Un saluto. Manuel Franco e famiglia". Grazie Manuel Franco, mi hai fatto ricco! Lo so, miei albatros, state schiumando d'invidia, ma inghiottite la bava, non è vero. È una truffa, si chiama "pishing", si getta l'esca nel Mar della Rete e c'è sempre qualcuno che abbocca. La "carpa" riceverà la richiesta di fornire i suoi dati sensibili, il codice Iban per incassare il bonifico milionario, con la copia dei documenti d'identità, e invece dei 2.800.000 dollari, sarà scippato dei risparmiucci suoi. E poi c'è l'amore. Una volta vi raccontai di una signora di Torino che aveva intrapreso una relazione virtuale con un sedicente primario di un ospedale di Palermo. In realtà era un tecnico di radiologia, un ometto insignificante, basso, pelato e cicciottello, ma aveva una trentina di amanti in rete dalle quali si faceva spedire regali, anche costosissimi. Naturalmente i selfie che inviava erano di altri bei fisicacci, mica il suo. La polizia lo beccò, fece irruzione, e questo aveva la casa che sembrava un centro commerciale: letti e divani ancora con la plastica, cyclette, moto, quadri, una cucina nuova, tutti doni di signore che trascorrevano ore di fuoco in chat con lui.
23 min
02 Feb 2022

Un secolo di promesse ai baraccati.

Cervelli fritti, ho avuto la fortuna, fino a 5 anni, di avere un bisnonno, ma che si riteneva sfortunato, e lo era, perché quel giorno, il 28 dicembre ma del 1908 mio bisnonno era un bambino e vide sua mamma schiacciata dal tetto di casa, perché lui alle 5:20 scappò in strada appena in tempo che casa crollasse. Era il terremoto di Messina, la più grave catastrofe naturale in Europa per numero di vittime. Metà della popolazione di Messina e metà di quella di Reggio Calabria scomparvero in quel funesto fragore. Mio bisnonno crebbe orfano con la faccia austera da vecchio-bambino e lo sguardo da scampato all'Apocalisse. Insomma, mentre sto svogliatamente sfogliando il New York Times, cercando spunti per la ripresa del programma, mi torna in mente mio bisnonno, e con questo attacco di rimpiangiosi per la famiglia perduta, volto la pagina e …-perché il cuore, fratelli, è un genio che anticipa la realtà-…zacchete! mi ritrovo una foto di Messina di ieri e di oggi. E mi prende un colpo. Mica per la coincidenza, che alle sincronie sono abituato, ma per una notizia oscena, che poi me la dà un giornale americano, mi sa che i nostri se ne vergognano, o magari poco gliene sbatte. E la notizia è questa, tenetevi forte: i baraccati del 1908 sono ancora lì, nelle baracche, 113 anni dopo! Cioè i figli e I nipoti, ovviamente. Mai avuto le case promesse per un secolo e passa! Avete presente il piano nazionale ripresa e resilienza? Quello riassunto da un acronimo che per i baraccati sembrerà una pernacchia? Il PNRR? Be', pare che adesso il governo abbia stanziato cento milioni, non di pernacchie si spera, ma di euro, per mantenere le promesse, quelle del 1908. Per farvi un'idea, il presidente del consiglio di allora era Giolitti, e ai giornalisti che lo tampinavano "Ma che aspetta il governo? Perché non mandate aiuti a Messina?" rispondeva "Qualcuno ha confuso la distruzione di qualche casa con la fine del mondo", e già questo dice tutto. "Qualche casa". Messina era rasa al suolo.
23 min