A questo proposito si considerano importanti le intuizioni del grande psichiatra Franco Basaglia che porta i suoi malati fuori dalle mura dei manicomi, per restituirli alla vita di relazione e agli stimoli generati dall’ambiente. Pionieristica è anche la storia dell’infermiere Pascal Petitqueux, del centro ospedaliero “Bel Air” di Charleville-Mézières nelle Ardenne, che nel 1984 conduce i suoi pazienti, a 2500 metri, e scopre che, di fronte alle difficoltà della montagna, ognuno di loro reagisce scovando dentro di sé le risorse per affrontare il terreno sconnesso e i suoi potenziali pericoli. L’esperienza francese arriva in Italia 8 anni dopo, nel 1992, con l’articolo “Malati di mente alpinisti per guarire” pubblicato da Ulderico Munzi, sul Corriere della Sera. Analoghe esperienze, nel nostro Paese, erano però già cominciate qualche anno prima.
Tra coloro che hanno intuito gli immensi benefici della montagna anche l’antropologo Annibale Salsa, già presidente del CAI. E proprio il CAI sostiene e coordina fin da subito i progetti strutturati di gruppo, creando corsi di formazione ad hoc per accompagnatori.
Sono molte le problematiche e disabilità che vengono trattate con la montagnaterapia, rimedio capace di generare salute e inclusione. Malati di patologie di diverso tipo, persone con dipendenze da sostanze e ludopatici, dimostrano di trarne un effettivo beneficio e di acquisire margini di autonomia che non pensavano di avere. Tra questi i soggetti autistici, o gli insulino dipendenti, quelli non vedenti o con ridotta mobilità confermano quanto la montagna sia un valido alleato per la salute.
“La montagna che cura” è un podcast di Luca Calzolari e Roberto Mantovani on line dal 20 giugno
15/06/2023