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Jack Folla, un dj nel braccio della morte Quando i lager erano in America

Jack Folla, un dj nel braccio della morte

Quando i lager erano in America

Non so se la storia si ripeta ma so che se la dimentichiamo saremo condannati a ripeterla. Lo dico perché qui in America, da quando Donald Trump puntò il suo ditone minaccioso contro gli asiatici, accusandoli di aver contagiato gli americani con il "loro" virus cinese, ha alimentato l'odio razziale che cova da sempre sotto le braci della storia. Recentemente Christina Yuna Lee, di 35 anni, è stata seguita da uno di questi sciroccati fans sanguinari di Trump che l'ha accoltellata nel bagno della sua casa di Manhattan, mentre un'altra asiatica, Michelle Go, l'hanno spinta sotto la metropolitana. L'elenco è lungo, cinesi e giapponesi per le strade sono costretti a guardarsi alle spalle. Ma è proprio vero che la storia si ripete una prima volta come tragedia e una seconda come farsa? No, sarebbe troppo grandioso –ha scritto Julian Barnes, autore di romanzi polizieschi. "La storia" dice, "si limita a eruttare e a farci riassaporare il gusto del sandwich alla cipolla cruda che aveva ingoiato secoli prima". Quel cattivo gusto m'è ritornato in gola ricordandomi che ottanta anni fa la democrazia degli Stati Uniti commise uno di quegli atti che fanno parte della storia dell'ignominia. Il presidente Franklin D. Roosevelt, lo stesso uomo ammirato per il New Deal e per il suo aiuto ai più bisognosi, il 19 Febbraio del 1942, in seguito all'attacco giapponese alla flotta americana a Pearl Harbour, firmò un atto razzista che sarebbe tanto piaciuto a Hitler. Fece internare 120.000 giapponesi (un terzo dei quali nati in America) in campi di concentramento, solo perché erano giapponesi. Erano spie di Tokyo? Avevano commesso atti di sabotaggio contro i marines? Complottavano nell'ombra? Macché.

29 Mar 2022